martedì 23 dicembre 2008

Il vizio della loquacità

Plutarco sul parlare

Per Paolo Marsich, traduttore e curatore della raccolta di scritti di Plutarco "Per un parlare efficace"
[1], oggi la comunicazione non sarebbe più un "parlare" bensì un "esternare".
I modelli televisivi dei talk-show e dei reality-show avrebbero diffuso il comportamento impulsivo ed un po’ arrogante di commentare tutto e subito, anche senza possedere le necessarie conoscenze né la riflessione ed il rispetto del pensiero altrui.
I modelli audiovisivi rendono “reale” solo ciò che è esternato nei media con linguaggio e modi ormai tipici. Molti, influenzati da questi modelli, si sono quindi abituati a raccontare gli altri qualsiasi evento anche insignificante o intimo della loro vita, senza neanche curarsi dell’attenzione o dell’interesse dell’ascoltatore.
Questa tendenza a parlare troppo e ad avere sempre una parola pronta su ogni argomento è stato a suo tempo criticato e ridicolizzato da Plutarco in alcuni brani della sua raccolta Moralia. Vissuto tra il I e il II secolo dopo Cristo, Plutarco è soprattutto noto per la sua opera Vite parallele in cui si dimostra ottimo studioso e conoscitore degli uomini ("non scriviamo storie, ma vite"). Nel De garrulitate parla del vizio della loquacità per proporre un esame ed un controllo del proprio comportamento verbale.
L'autore greco parte dall’idea che prima di parlare bisogna saper ascoltare.
Per Plutarco l'ascolto è un'arte che può appresa e poi perfezionata; esso deve diventare un metodo per arricchirsi interiormente, per conoscere la natura umana e se stessi e quindi correggere i propri limiti e difetti.
Nella capacità di ascolto vede la possibilità di riconoscere i meriti altrui, con umiltà; ma anche il pericolo, per i semplici, dell'ammirazione smisurata od opportunistica e quindi della caduta nell'adulazione e nella falsità.
L’autore si sofferma a lungo sul comportamento adulatorio, su come riconoscerlo e come difendersene; ad esso contrappone la schiettezza, che però deve essere opportunamente controllata e modulata dal rispetto dell'altro per non dar luogo a reazioni ostili. Per questo arriva anche ad approvare l’uso di vere tecniche manipolatorie, usate a fin di bene.
Particolarmente interessante è l'analisi dei rapporti con gli avversari e la proposta di trarre dei vantaggi dalle proprie inimicizie.
Plutarco mette in evidenza come questi vantaggi consistano, in dettaglio, nello sviluppare l'autocontrollo per non reagire emotivamente gli attacchi (ciò darebbe agli avversari una forza altrimenti inesistente); nel fortificarsi nel confronto con situazioni conflittuali; nello imparare ed imitare i modi leciti con cui gli avversari hanno acquisito il potere attuale; nel riconoscere in sé stesso i punti deboli sfruttabili dall'avversario per i suoi attacchi; nello eliminare da sé quei difetti che critichiamo nell'altro; nello sviluppare una circospezione che previene i comportamenti attaccabili perché sbagliati o perché tali possono sembrare.
Paolo Marsich sostiene l'attualità dei consigli di Plutarco ed evidenzia come i vizi sotto accusa – ed in particolare la mancanza di dissenso - siano favoriti dal modello sociale oggi dominante: "La tendenza a reprimere l'osservazione critica e costruttiva sembra essere un tratto tipico delle relazioni sociali odierne, spesso basate sulla compiacenza a ogni costo e sulla rimozione di ogni comportamento sgradevole o doloroso, quale invece la verità spesso comporta."

Il primo argomento trattato nel libro si riferisce al controllo della parola e si parte dal vizio della loquacità (De garrulitate), difficile da curare perché accompagnato dal non ascolto dei consigli altrui.
All'origine di questa incapacità di tacere ci sarebbe infatti l'incapacità di ascoltare: "Negli uomini troppo loquaci l'orecchio non è collegato con la mente bensì con la lingua."
L'eccessiva loquacità è un vero vizio perché, oltre ad essere incontrollabile, va addirittura contro gli scopi di chi ne è affetto. Infatti chi parla troppo lo fa per auto affermarsi e per indurre gli altri a stimarlo, ma in realtà difficilmente trova chi sia disposto ad ascoltarlo ed a prestargli fiducia. Mentre discrezione e silenzio suscitano approvazione, di solito la loquacità non è apprezzata e spesso porta brutte conseguenze.
Anche quando si è sollecitati da una domanda, il come si risponde non è privo di pericoli. Vi sono tre modi per rispondere: limitarsi allo stretto necessario, dare una risposta cortese con sufficienti spiegazioni e dare una risposta eccessiva. Il terzo modo è sempre sbagliato, gli altri due vanno adeguati alle esigenze dell’interpellante.

Dalla sobrietà nel parlare si passa all’argomento dell’imparare ad ascoltare (De recta ratione audiendi).
Dice Plutarco che noi non siamo abituati ad essere ben predisposti verso chi parla né a focalizzare l'attenzione per non perdere nulla di quanto detto. Sostiene poi che anche il modo di porsi, mentre si ascolta, è soggetto al rispetto di certe regole di educazione.
Il corpo deve assumere una postura corretta, e lo sguardo va rivolto su chi parla, con atteggiamento d’interesse ed una espressione del viso rilassata.
Il silenzio è il comportamento più decoroso e prudente e anche quando l’interlocutore ha concluso conviene aspettare prima di replicare, per dar modo all'altro di aggiungere, modificare o ritrattare le proprie affermazioni.
Ascoltare è come essere ospite a pranzo: il buon ospite mangia quel che gli viene portato e non chiede altro. Così bisogna ascoltare quanto viene proposto e non cercare di condurre l’interlocutore su altri argomenti.
Le domande devono essere pertinenti ed utili al discorso, mai irrilevanti. Inoltre si deve restare nell’ambito delle competenze dell’altro: chiedergli cose su cui non è esperto può creargli imbarazzo e si perde l'occasione di ricevere il meglio di quanto può offrire, oltre al rischio di apparire malevoli ed odiosi.
L'invidia è un pericolo per l'ascolto, così come la presunzione: entrambe spingono a contestare gli argomenti anche quando non si sarebbe capaci di proporre argomentazioni migliori. A tale proposito Plutarco offre l’aneddoto di uno spartano che, venuto a sapere che il re Filippo aveva distrutto la città di Olinto, aveva commentato: “Lui però non sarebbe in grado di edificarne una simile”.
Il comportamento opposto di “eccessiva ammirazione” è anch’esso pericoloso e forse ancor di più; se un atteggiamento sprezzante ed arrogante non fa trarre vantaggi dai discorsi ascoltati, chi è ingenuo e pieno di ammirazione rischia di subire un vero e proprio danno assorbendo eventuali idee sbagliate o dannose.
L’ascoltatore dovrebbe passar sopra alla forma del discorso ed alla personalità di chi parla per immergersi nei contenuti del discorso e nelle reali intenzioni dell’altro, trattenendo solo gli aspetti proficui di quanto sentito.
Se quanto ascoltiamo costituisce una critica delle nostre idee o comportamenti, dobbiamo diventare capaci di accettarlo senza lamentele e senza assumere atteggiamenti impassibili o assenti o addirittura irridenti.
L’ascolto dell’altro deve essere finalizzato anche a conoscere sé stessi. Chi è sveglio ed attento impara ascoltando non solo discorsi riusciti, ma anche quelli falliti: ciò che è sbagliato viene riconosciuto più facilmente nei discorsi altrui che nei propri.
Ha poco senso biasimare gli altri se questo non ci serve a vedere e correggere i nostri difetti simili. Dai discorsi altrui possiamo riconoscere il nostro modo di fare ed imparare a curare di più quello che diciamo.

I successivi argomenti riguardano lo smascherare le falsità e l’uso della schiettezza (De differentia veri amici et adulatoris).
Per riconoscere le bugie degli adulatori basta osservare la loro continua compiacenza nei confronti dei nostri comportamenti e discorsi, anche quando questi sono volutamente incostanti e contraddittori.
La mancanza di dissenso è sospetta, così come lo è un rapporto basato sulla ininterrotta condivisione e compiacenza, sulla mancanza totale di contrasti e su una piena affinità.
Plutarco distingue tra l’elogio adulatorio di una singola azione e quello dei comportamenti caratteristici della persona.
Secondo lui chi elogia una cattiva azione od un discorso sbagliato danneggia l‘altro in quella specifica occasione; ma coloro che si spingono a lodare i difetti di carattere sono molto più dannosi (“come servi che rubano non il raccolto ma la semina”) perché descrivendo come virtù ciò che è male, peggiorano l’animo ed i comportamenti abitudinari della persona, quindi il suo “seme”.
Il danno provocato dalla distorsione della realtà fisica è rimediabile perché l’inganno prima o poi sarà scoperto, ma la distorsione del giudizio morale ha conseguenze molto più gravi perché fa apparire come un bene ciò che invece condurrà alla rovina.
In ogni persona c’è una parte razionale ed una istintiva; la prima tende alla verità ed al bene, la seconda è spesso dannosa. L’amico vero si riconosce perché parla sempre alla parte migliore, mentre l’adulatore si rivolge a quella irrazionale e passionale. Un amico “nacque per condividere la saggezza, non per soffrire della stessa malattia”.
La difesa dai danni dell’adulazione richiede la lotta a due difetti: l’auto compiacimento e la presunzione.
Il “conosci te stesso” deve spingerci a vedere quanto la nostra natura, la nostra educazione e la nostra cultura siano ancora distanti dalla perfezione, e quindi ad ammettere di non essere quello descritto dall’amico che ci elogia e ci loda molto, bensì quello dell’amico che ci biasima e ci rimprovera con schiettezza.
Sulla schiettezza nel parlare con gli altri ci sono però da fare molte considerazioni.
Della schiettezza ci si deve servire con prudenza ed eliminando ogni eccesso dalle nostre parole; c’è infatti il pericolo di ferire ed offendere, spingendo così l’altro a non ascoltarci ed a volgersi verso gli adulatori, le cui parole non fanno male.
Poiché ogni vizio va combattuto con una virtù e non con il vizio opposto, il voler evitare l’adulazione non deve far diventare aggressivi e scortesi, e magari guastare un’amicizia per eccessiva schiettezza; come per tutte le cose, il meglio consiste nel giusto mezzo.
Per essere efficace la schiettezza deve restare disinteressata, priva di qualsiasi nesso personale. Le forme in cui si esprime devono essere appropriate, quindi prive di aggressività, ironia, sarcasmo. Con gli amici va usata solo dopo averli rasserenati con elogi.
E’ sempre bene che il rimprovero dei difetti dell’altro sia accompagnato dall’ammissione dei propri, anche per evitare la reazione sbagliata di ritorsione degli ammonimenti. A chi nega i propri errori va offerta la possibilità di difendersi e si possono suggerire delle scuse dignitose.
In alcune occasioni la schiettezza può addirittura essere inopportuna, ad esempio quando l’interlocutore è in un momento di disgrazia; inoltre essa non dovrebbe essere mai praticata di fronte ad un pubblico, né utilizzata troppo di frequente, anche per cose di poco conto, perché perderebbe di incisività e di efficacia nei momenti importanti.
C’è una schiettezza terapeutica, che mira ad impedire che venga commesso uno sbaglio nell’immediato, ed una preventiva che vuole stimolare comportamenti positivi. La prima può anche usare toni aggressivi, la seconda solo quelli persuasivi, manipolatori, adattati strumentalmente al carattere della persona.
La nuda sincerità va vista come una medicina applicata ad una ferita, quindi va applicata con delicatezza e cautela.

L’argomento finale verte sulla gestione dell’ostilità “De capienda ex inimicis utilitate”.
Ripresa l’idea di Senofonte secondo cui gli uomini assennati sanno trarre vantaggio anche da coloro con cui sono in contrasto, Plutarco propone di definire un metodo ed un’arte per ricavare del buono dall’ostilità.
Dopo aver proposto diversi esempi di cose inservibili a certi fini ma utilizzabili per altri e di eventi negativi da cui nascono conseguenze positive, si sofferma su alcune tematiche.
La prima osservazione si riferisce alla circospezione nell’agire.
Il fatto che l’ avversario studi la nostra vita alla ricerca delle tracce degli errori ci induce ad essere cauti, a prestare più attenzione, a non agire e a non parlare superficialmente o sconsideratamente e a mantenere inattaccabile la nostra condotta.
La circospezione comporta il controllo degli istinti e l’approfondimento della riflessione ed induce alla sollecitudine ed alla scelta di vivere in modo onesto ed irreprensibile. L’essere stati costretti, a causa delle inimicizie, ad adottare abitudini positive finisce per procurarci una vita migliore.
La seconda considerazione è che per rinfacciare i vizi altrui dobbiamo diventarne immuni: se muoviamo accuse ad un avversario dobbiamo evitare che queste si possano ritorcere contro di noi.
Per accusare qualcuno di essere ignorante, dobbiamo amare il sapere e l’impegno; per dargli del vigliacco dobbiamo dimostrare di aver coraggio; per definirlo dissoluto ed intemperante dobbiamo far sparire ogni segno di ogni nostra inclinazione simile.
La critica della vita di un avversario costringe all’esame della propria e quindi a correggerla riparandone gli errori; così si può trarre un’utilità persino dalle accuse fatte agli altri.
Il terzo argomento si riferisce alle critiche degli avversari.
E’ più facile che le verità spiacevoli ci siano dette dai nemici che dagli amici; per questo un insulto scagliatoci contro per ira ed ostilità può servirci a curare una debolezza che non sapevamo di avere o di cui avevamo trascurato l’importanza.
Se poi la critica ostile è una calunnia e siamo accusati di qualcosa che non ci riguarda, è comunque bene cercare di capire la ragione per cui quella calunnia è sorta; faremo poi attenzione a non cadere in comportamenti affini o collegati a quello rinfacciato. E’ anche opportuno esaminare se nei nostri discorsi, nelle nostre azioni, nei nostri interessi o nelle nostre frequentazioni c’è stato qualcosa di somigliante alla calunnia.
L’ira e gli insulti di un nemico possono allenarci all’esercizio della sopportazione e farci imparare a restare calmi di fronte agli attacchi; questi perdono molto del loro potere se non riescono ad intaccare la nostra emotività.
Riconoscere i meriti dell’avversario e non provare gelosia per i loro successi è un esercizio utile per rafforzare l’animo; ciò farà sparire anche l’invidia per le fortune degli amici.
Non serve tormentarsi perché i nostri nemici hanno più di noi; è molto meglio cercare di capire perché essi l’hanno avuto, e competere tentando di superarli in impegno, operosità, saggezza e autoconsapevolezza. Chi non si lascia accecare dai sentimenti ostili e resta osservatore imparziale della vita, dei comportamenti, dei discorsi e delle azioni dei suoi avversari, riuscirà forse a vedere che molte delle cose che hanno se le sono procurate con mezzi onesti; soffermandoci sopra imparerà a tirar fuori il meglio di sé ed a vincere i difetti che stanno ostacolando il suo successo.

[1] Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2008, collana Saggezze.

1 commento:

  1. Anzi, a volte perioditas o comunicatori non rispettano i pensieri degli altri ..... solo emergere come un aspetto professionale, non importa quello che succede con i pensieri degli altri

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